Qualcuno ha scritto che nella vita non contano i passi che fai o le scarpe che usi, ma contano le impronte che lasci.
Nel nostro caso i passi vengono da lontano, da quando si è entrati a scuola dall’altra parte della cattedra per accompagnare chi vuole tracciare un incerto futuro. Le scarpe invece sono i libri, siano essi manuali o documenti, sono opere d’arte, principi e teoremi; le scarpe sono anche la duttilità e l’esperienza che le allarga e le adatta alle generazioni che una dopo l’altra si avvicendano oltre quella cattedra, che non è mai trincea, ma un ponte, una rampa di lancio. Le impronte sono i sorrisi espressi e le lacrime celate, i grazie detti e i risentimenti nascosti.
Ciò che trasforma il prof in un maestro è l’essere “riconosciuti” come quella “persona che ha accompagnato” generazioni di piccoli uomini e di piccole donne in uno dei momenti più belli della loro vita, quando i ricordi si cementano nel cuore. Non c’è nulla di più frustrante nel ritrovarsi persi nel dimenticatoio degli studenti. Un grazie a chi ha accompagnato gli adolescenti con competenza e serietà sempre, sia quelli di venti o trenta anni fa battaglieri e sognatoti, come anche quelli di oggi, così mammoni, ma anche smanettoni e apparentemente distratti. Questi docenti sono persone che hanno dovuto affrontare una delle più veloci rivoluzioni didattiche della storia ed essere sempre motivanti e competenti.
Oggi lascia l’insegnamento un vero consiglio di classe al completo. Ci sono prof di tutte le discipline: dall’Arte alle Scienze Motorie, dalla Filosofia alla Religione, dalla Matematica all’Inglese, dall’Italiano alle Scienze. Molti di loro sono al De Giorgi da decenni, qualcuno da un anno o poco più, ma di tutti si può dire che hanno lasciato (anche nei colleghi) un’impronta difficile da cancellare.