Il tabacco è una pianta erbacea a ciclo annuale, che appartiene al grande gruppo delle Dicotiledoni ed è del genere Nicotiana perchè contiene appunto la nicotina nei succhi delle sue piante.
Nel XVIII secolo la coltivazione del tabacco in provincia di Lecce era molto avanzata e di varie specie, da cui si ricavava la squisita e rinomata polvere da fiuto, ricercata in tutto il Regno di Napoli ed in altre parti d’Italia. Nella Manifattura di Lecce si lavoravano essenzialmente le qualità del Cattaro e del Brasile, entrambi appartenenti alla specie Nicotiana Rustica.
I lavori preliminari avevano inizio nel mese di ottobre ed iniziavano col cospargere abbondante concime. Si suggeriva di far riposare per almeno un anno il terreno. Nei mesi di dicembre-gennaio, si rinnovava l’aratura e si cominciava a preparare la semina: vi erano operai, principalmente uomini, addetti a tracciare i solchi, altri, quasi sempre donne, si occupavano dell’operazione della piantumazione.
Nell’antica Terra D ‘Otranto, comprendente le attuali province di Lecce, Brindisi e di Taranto, le vicende della diffusione del tabacco sono legate a quelle della sua diffusione nel Regno di Napoli.
Nel XVIII secolo la coltivazione del tabacco in provincia di Lecce era molto avanzata e di varie specie.
L’ambiente climatico del Salento favorì particolarmente le sopracitate varietà che si diffusero rapidamente dando luogo ad una industria manifatturiera fiorentissima.
A totale occupazione femminile era l’operazione del trapianto; si aiutavano col chiantaturu, cavicchio, interrando le piantine prelevate precedentemente dal semenzaio, munite delle due foglioline cotiledonali, riccheddhre, oltre alle prime 3-4 foglie basali, e le rincalzavano accuratamente. Alle operaie più anziane spettava il compito finale di innaffiarle una
seconda volta, si da permettere l’adesività del terreno sul fittoncino embrionale perché la presenza dell’aria disseccava la piumetta (radichetta) con successiva moria della piantina.
Le operaie trapiantatrici, nella scala delle retribuzioni, ricevevano una paga inferiore rispetto agli altri operai; le dirigeva, in un certo senso, la capo-squadra, meglio conosciuta come la mescia, la maestra. Lavorava da capo-fila e le altre operaie la seguivano; si dimostrava la più svelta, ed il suo compito, inoltre, era quello di vigilare il ritmo delle operaie che, disponendosi allineate accanto a lei, dovevano necessariamente procedere in sintonia.
E cosi, con la testa china fino quasi a toccare la terra, queste donne trapiantavano te Ilucesciùtu a scurùtu, dall’alba al tramonto.